Immagina di entrare al lavoro e dimenticare completamente chi sei fuori da lì
Nessun ricordo della tua famiglia, dei tuoi amici, della tua vita. Solo lavoro.
È ciò che succede in Severance (Scissione), la serie lanciata da Apple TV nel 2022, che ci costringe a chiederci: cosa significa davvero bilanciare lavoro e vita privata?
Un’identità spezzata in due
Il protagonista è Mark (Adam Scott), dipendente della Lumon Industries, un’azienda che applica una procedura di “scissione identitaria” ai suoi lavoratori.
L’obiettivo? Separare i ricordi e il vissuto della vita professionale da quelli della vita personale.
Ognuna delle due vite – lavorativa e privata – è totalmente inconsapevole dell’altra.
Questo processo, chiamato “scissione”, crea così due entità distinte all’interno della stessa persona: un “interno”, che vive solo all’interno dell’ufficio e non ha memoria di ciò che esiste fuori dall’azienda, e un “esterno”, che vive la vita di tutti i giorni ma non ricorda nulla di ciò che avviene sul lavoro.
Due vite separate. Due coscienze scollegate.
Una soluzione che sembra drastica a un problema molto attuale.
La scissione: meccanismo di difesa o rifugio?
In psicologia, la scissione dell’Io è un meccanismo di difesa inconscio in cui l’individuo divide la propria identità per proteggersi da traumi o conflitti interiori.
In Scissione, ciò avviene tramite un intervento chirurgico volontario: i dipendenti scelgono di “scindere” sé stessi.
I personaggi, così, non sanno cosa succede al di fuori dell’ufficio e non conoscono i problemi della loro vita privata.
L’”interno” di Mark vive intrappolato in una routine lavorativa senza fine: non prova stress per le preoccupazioni esterne, ma è costretto a un’esistenza vuota, priva di significato.
L’”esterno”, invece, è segnato dal lutto per la morte della moglie e cerca inconsciamente un rifugio nel lavoro, senza sapere cosa accade in azienda.
Il lavoro diventa, in questo modo, al tempo stesso rifugio e prigione.
Separare vita privata e lavoro: sogno o incubo?
Severance ci presenta un’interpretazione estrema, ma stimolante, del concetto di equilibrio vita-lavoro.
Negli ultimi anni, con la pandemia e lo smart working, le nostre case si sono trasformate in uffici. Il confine tra vita privata e lavoro è diventato sempre più sfumato: siamo connessi e reperibili anche oltre l’orario lavorativo.
Questa situazione ha contribuito all’aumento di stress lavoro-correlato e burnout, al punto che alcuni lavoratori potrebbero arrivare a desiderare una vera e propria “scissione”.
Secondo una ricerca di Unimind, infatti, il 46% dei giovani intervistati nel Regno Unito vorrebbe sottoporsi a una procedura simile a quella della serie, separando il sé personale dal sé lavorativo.
Fonte
Ma se davvero potessimo mettere confini netti tra lavoro e vita privata, ne gioverebbe la nostra identità?
Spesso il lavoro è una fonte di significato e soddisfazione. Separare rigidamente le due sfere può risultare alienante.
La nostra identità lavorativa è parte integrante della nostra identità complessiva: si costruisce a partire da come ci percepiamo nel contesto professionale.
Una percezione valorizzata del sé lavorativo può portare benessere anche nella sfera personale.
In questo senso, Severance è quasi profetica. L’”interno” di Mark è frustrato perché vive solo nel lavoro e non sa chi è oltre quell’ambiente. L’”esterno” non trova pace nel tempo libero e continua a chiedersi chi sia il sé che lavora al posto suo, ogni giorno.

L’autore
Beatrice D’Achilli
Junior HR
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